Unilever delocalizza in Portogallo la produzione dei dadi dello stabilimento di Sanguinetto e licenzia 76 persone.

Categoria: | 31-05-2019

Ancora una volta una grande multinazionale, decide di spostare la produzione dall’Italia in un paese estero, in Portogallo. Forse per crisi aziendale? No. Forse per problemi legati alla produzione? No. Forse per cali importanti di fatturato? No, semplicemente, delocalizza una parte della propria produzione per massimizzare i profitti. Delocalizza dove il costo del lavoro è nettamente inferiore a quello italiano, scaricandone i costi sull’intera collettività. Su quella collettività, in particolare, quella dei  lavoratori, che hanno contribuito a fare quella che oggi è Unilever. Senza di loro, infatti, chi avrebbe prodotto i beni che sono nelle case di ognuno di noi e che quotidianamente usiamo , e chi avrebbe prodotto la ricchezza che in questi anni ha fatto grande una multinazionale come Unilever? Ma tutto questo, evidentemente non basta. E’ non è bastata nemmeno  la procedura di mobilità conclusasi appena l’anno scorso, in cui sono state lasciate a casa 28 persone. Edulcorata da salvifici piani di rilancio e continui illusioni di opportunità che non si sono verificati.  E a questo punto è lecito pensare che nemmeno questo ulteriore passaggio sarà sufficiente, ma che nei programmi dell’azienda ci sia lo smantellamento del sito di Sanguinetto. Certo, quest’ultima prospettiva può essere solo una supposizione, ma che trova il suo fondamento nel fatto che l’azienda non ha fatto partecipi lavoratori e sindacati del loro programma ma ha deciso di comunicare l’avvio della procedura di mobilità con un comunicato inviato attraverso una PEC. Non ha cercato mediazione. Non ha chiesto un tavolo di confronto con Stato, regione, parti sociali. Non ha cercato una soluzione condivisa. Ha, unilateralmente, deciso di portare fuori una parte della produzione.

Da 12 mesi,  ovvero dalla procedura di licenziamenti che ricordavamo messa in campo solo l’anno scorso da Unilever, manca la benché  minima traccia di un piano industriale per Sanguinetto che fosse condiviso con le Organizzazioni Sindacali, quando invece, a  Rotterdam, a giudicare proprio da questa ulteriore procedura, pare avessero ben chiaro quali fossero i destini, che qualcuno chiamerebbe “progetti”, dello storico stabilimento della bassa veronese. Da settimane l’azienda andava prendendo tempo con lunghi rinvii riguardo la discussione per il rinnovo dell’accordo integrativo di sito!

Questa ulteriore procedura sa tanto di una fase 2, che dopo quella messa  in campo da Unilever  già l’anno scorso,  “attende” con tutta probabilità ad una fase 3. Fase 3 che, in mancanza di investimenti  (e  a Sanguinetto non se ne fanno da oramai troppi  anni) lascia presagire funerei orizzonti.

La Fai Cisl di Verona, da sempre al fianco delle lavoratrici e dei  lavoratori, non starà certo a guardare: è stato proclamato lo stato di agitazione, in attesa di capire quali saranno i futuri sviluppi. Sono state convocate assemblee per coinvolgere i lavoratori, presi in giro da un’azienda che negli ultimi anni li ha solo “presi a schiaffi”, a dispetto di tutte le concessioni fatte  in tema di flessibilità. Non ci tireremo indietro di fronte alla prepotenza di un’azienda che  per il mero profitto gira le spalle ad un’intera comunità che tanto ha dato in termini di sacrificio, conoscenze, competenze.

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